Gli ostacoli alla formazione del Governo Conte I
Il quadro politico delineato dalle strategie e dai risultati delle elezioni politiche 2018 era complesso. Per un verso il sistema dei partiti tripolare comportava la necessità che uno dei tre poli collaborasse con altri partiti per formare una maggioranza parlamentare. Per l’altro verso, il sistema elettorale implementato con il Rosatellum aveva di fatto determinato due vincitori (un partito e una coalizione) e aveva, allo stesso tempo, cristallizzato le coalizioni limitando la mobilità dei singoli partiti politici.
Il 4 aprile, ad un mese esatto dalle elezioni, iniziavano le consultazioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con i rappresentanti delle istituzioni e dei partiti politici eletti in Parlamento, al fine di vagliare la possibilità di eventuali alleanze indispensabili alla formazione del nuovo Governo.
Essendo l'Italia una repubblica parlamentare, per formare il Governo è necessario che i partiti politici presenti in Parlamento siano in grado di costruire una maggioranza. Senza una maggioranza parlamentare, cioé una compagine politica in grado di controllare la metà più uno dei seggi sia alla Camera dei Deputati che al Senato, il nuovo Governo non può ottenere la fiducia del Parlamento e quindi la piena disponibilità dei suoi poteri.
Il risultato delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 per il rinnovo del Parlamento aveva determinato una situazione di stallo, ovvero una situazione in cui nessuno degli schieramenti politici in campo aveva ottenuto un numero di seggi sufficiente per raggiungere la maggioranza assoluta.
Per avere la maggioranza assoluta alla Camera occorrevano 316 deputati, mentre per il Senato erano necessari 158 seggi, escludendo i senatori a vita.
Subito dopo lo spoglio elettorale (prima che l'assegnazione dei seggi fosse convalidata dalle Corti d'Appello) i seggi in Parlamento erano così distribuiti:
- il Movimento 5 Stelle poteva contare su 227 deputati e 112 senatori;
- la coalizione di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia e la lista Noi con l'Italia) contava 265 deputati e 137 senatori;
- il Partito Democratico e i suoi alleati contavano 122 deputati e 60 senatori;
La lista Liberi e Uguali era sostanzialmente diventata ininfluente ai fini della formazione di una nuova maggioranza parlamentare avendo ottenuto solamente 14 deputati e 4 senatori.
In sintesi, sia Luigi Di Maio leader del Movimento 5 Stelle che Matteo Salvini, leader della Lega Nord e della coalizione di centrodestra, avevano rivendicato la vittoria elettorale e la possibilità di guidare il nuovo esecutivo, ma entrambi gli schieramenti non erano autosufficienti e avrebbero avuto bisogno di qualche altro partito per raggiungere la maggioranza assoluta.
Considerato che entrambi gli schieramenti vittoriosi neccessitavano di un consistente numero di parlamentari aggiuntivi per costituire la maggioranza e che il Parlamento risultava sostanzialmente diviso in tre poli, erano possibili solamente tre soluzioni artimetiche alternative:
- la somma dei parlamentari del centrodestra e del PD;
- la somma dei parlamentari del Movimento 5 Stelle e del PD;
- la somma dei parlamentari del Movimento 5 Stelle e della coalizione di centrodestra o eventualmente di una sua componente e nello specifico della Lega Nord.
Avendo il Partito Democratico perso le elezioni ed essendo la forza politica che aveva rappresentato il governo del paese nella precedente legislatura, al di là delle ragioni politiche che lo dividevano dalla coalizione di centrodestra (in particolare dalla Lega Nord e da Fratelli d'Italia) e dal Movimento 5 Stelle (che tra l'altro aveva condotto un'opposizione molto dura proprio nei confronti del Partito Democratico), non poteva fare altro che collocarsi all'opposizione a meno che non si fosse reso necessario varare un governo di emergenza nazionale con la partecipazione di tutte le forze politiche.
La collocazione del Partito Democratico nella minoranza, a parte le ragioni politiche o di convenienza ampiamente dibattute e riportate dai mass media, era la naturale destinazione di un partito di governo uscente sconfitto alle elezioni, anche al fine di preservare la credibilità del sistema democratico e della logica dell'alternanza.
Infatti, un'alleanza di governo tra uno dei vincitori delle elezioni e il Partito Democratico avrebbe rischiato di compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche, in quanto inevitabilmente avrebbe conferito un certo grado di continuità all'indirizzo politico del governo uscente, mentre gli elettori sembravano aver chiaramente indicato la necessità di un cambiamento di indirizzo politico. E' apparso quindi stupefacente il tentativo, soprattuto mediatico, di strattonare il Partito Democratico verso un'alleanza di governo con il M5S subito dopo le elezioni.
Restava quindi in campo solamente una contorta alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord, con o senza le altre componenti della coalizione di centrodestra, complicata anche dalla natura degli schieramenti politici che avevavo vinto le elezioni.
Il Movimento 5 Stelle, nato come movimento, era sostanzialmente diventato un partito politico a tutti gli effetti, tuttavia la strategia politica adottata (di avversità nei confronti dei partiti politici tradizionali, di rivendicazione della propria diversità, di rifiuto delle alleanze, di supporto alle istanze anche irrazionali delle masse), condizionava e limitava le sue scelte.
La situazione della coalizione di centrodestra era anche più complicata. Innanzitutto, le elezioni politiche del 4 marzo 2018 avevano cambiato i rapporti di forza all'interno della coalizione:
- la Lega Nord aveva ottenuto la leadership con 124 deputati e 58 senatori;
- Forza Italia aveva perso molti voti totalizzando 106 deputati e 58 senatori;
- Fratelli d'Italia era cresciuta molto con 31 deputati e 16 senatori;
- la lista Noi con l'Italia aveva racimolato solamente 4 deputati e 5 senatori.
Inoltre, la discrasia tra il sistema elettorale sostanzialmente proporzionale (che quindi avrebbe dovuto agevolare gli accordi tra singoli partiti successivamente alle elezioni) e la graniticità della coalizione di centrodestra costituita prima delle elezioni frenava la mobilità post-elettorale dei partiti della suddetta coalizione (così come generalmente accade nei sistemi elettorali maggioritari).
La quota dei seggi del Parlamento assegnata con il maggioritario (circa un terzo) dalla legge elettorale non avrebbe dovuto di per sé determinare il congelamento della coalizione di centrodestra dopo il voto, tuttavia la scelta di una strategia politica basata sulla scommessa di riuscire a vincere le elezioni per formare una maggioranza autonoma, formando una coalizione "di governo" pur essendo in vigore un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale, aveva di fatto cristalizzato la coalizione di centrodestra.
Questa strategia politica di ispirazione maggioritaria aveva, tra l'altro, comportato la necessità di offuscare e stemperare le profonde differenze tra le due anime della coalizione di centrodestra: da un lato il moderatismo di Forza Italia e della lista Noi con l'Italia e dall'altro il radicalismo di Fratelli d'Italia e della Lega Nord.
Infatti, dopo la virata verso la destra sovranista della Lega Nord, guidata con successo da Matteo Salvini, l'alleanza a livello nazionale con Forza Italia aveva suscitato molte perplessità, sia per le diverse posizioni nei confronti dell'Europa che per questioni più generali come l'immigrazione, la previdenza sociale e l'atteggiamento nei confronti del cosiddetto establishment.
In ogni caso, Lega Nord e Forza Italia avevano poi trovato una forte convergenza sulla proposta di una radicale quanto improbabile riduzione delle tasse, evidentemente per un fine esclusivamente elettorale, ma anche la necessità di Silvio Berlusconi di restare ancorato al potere politico non era estranea alla volonta di consolidare la coalizione di centrodestra.
Bisogna, in effetti, riconoscere che la strategia politica del centrodestra mirata a cristallizzare la coalizione aveva comunque avuto successo sul piano elettorale, sebbene avesse determinato una novità e una controindicazione.
La novità riguardava appunto la vittoria relativa della Lega Nord su Forza Italia. Si trattava di un elemento importante che sanciva da un lato la subalternità di Forza Italia alla Lega Nord e dall'altro la conquista della leadership dell'intero centrodestra da parte di Matteo Salvini. Mentre, la controindicazione era rappresentata dalla difficoltà di Forza Italia o della Lega di svincolarsi dalla coalizione. In particolare, la Lega Nord nonostante fosse il terzo partito (dopo il PD) in base al proporzionale era, in realtà, il secondo partito per numero di seggi proprio grazie ai seggi uninominali del maggioritario e quindi debitrice nei confronti dell'alleanza con Forza Italia.
In sostanza la coalizione di centrodestra era costitutiva del potere parlamentare della Lega Nord. In altre parole, senza la strategia politica del centrodestra di costruzione di una coalizione di governo, la Lega Nord pur in presenza di un fortissimo successo elettorale sarebbe stata il terzo partito del Parlamento, con nessuna possibilità di ambire alla guida della maggioranza parlamentare e del governo.
Tutta questa situazione si rifletteva ovviamente sulla possibilità che si formasse una maggioranza parlamentare con il contributo del Movimento 5 Stelle, della Lega Nord ed eventualmente di qualche altro componente della coalizione di centrodestra.
Il Movimento 5 Stelle, infatti, forte del suo successo elettorale che non era dipeso dall'alleanza pre-elettorale con altri partiti, che non aveva risentito negativamente della quota di seggi assegnata con il sistema elettorale maggioritario, che aveva conquistato la posizione di primo partito con un sistema sostanzialmente proporzionale, avrebbe preferito vedere assegnato l'incarico di primo ministro al suo leader, Luigi Di Maio, mentre non era disponibile a tollerare la presenza di Forza Italia in un eventuale governo a guida M5S.
Nello specifico, la presenza di Forza Italia in una eventuale maggioranza a guida M5S non sarebbe stata digerita dagli elettori del M5S, inoltre un'eventuale accordo con l'intera coalizione di centrodestra avrebbe di fatto messo la leadership della maggioranza parlamentare nelle mani di Salvini e del centrodestra.
Il Movimento 5 Stelle si mostrò, tuttavia, disponibile a un'alleanza con la Lega Nord fuori dalla coalizione di centrodestra, essendo tra l'altro la Lega ormai considerata un partito anti-establishment.
D'altro canto la Lega Nord di Matteo Salvini, avendo conquistato la leadership della coalizione di centrodestra, era combattuta tra l'interesse a tenere unita la coalizione di cui era di fatto diventata leader piuttosto che formare un governo con un ruolo subalterno in una maggioranza parlamentare guidata dal Movimento 5 Stelle.
Le premesse alla formazione del cosiddetto governo giallo-verde non erano quindi le migliori, infatti il ruolo anomalo del Presidente del Consiglio nel primo governo Conte ha testimoniato queste difficoltà e in una certa misura la perdurante crisi della specifica forma di governo parlamentare italiana.