Unione Europea, crisi economiche e crisi dei debiti sovrani
Le crisi economiche dei paesi aderenti all'Euro hanno evidenziato alcuni punti deboli del processo di unificazione europea. Il processo di integrazione europea si trova in una fase abbastanza avanzata da vincolare i paesi membri a determinati parametri di finanza pubblica, ma allo stesso non così avanzata da consentire un intervento diretto delle istituzioni europee nelle situazioni di crisi, o per prevenirle.
Non è infatti un caso che le istituzioni europee si siano fatte cogliere impreparate dalla crisi finanziaria internazionale del 2007 e dalla crisi dei debiti sovrani del 2011, tuttavia proprio a causa dell’incompiutezza del processo di unificazione europea risulta difficile separare nettamente le responsabilità delle istituzioni europee da quelle dei singoli Stati membri e degli Stati più influenti, come la Germania.
Occorre evidenziare come gran parte dei problemi che affliggono le economie dei paesi occidentali sia dovuta all'inarrestabile processo di globalizzazione, ovvero alla internazionalizzazione dei sistemi economici e finanziari e all'ingresso di nuovi protagonisti nella scena economica mondiale, come la Cina, l'India e i paesi emergenti. Poiché l'internazionalizzazione dei mercati genera una competizione economica tra paesi con strutture civili ed industriali profondamente diverse, per contrastare gli effetti negativi della globalizzazione è fondamentale stabilire regole comuni a livello internazionale per tentare di governare e indirizzare il processo di globalizzazione, piuttosto che subirlo passivamente. Per raggiungere questo obiettivo sono state costituite organizzazioni internazionali che consentono agli Stati e alle economie più influenti di esercitare un certo grado di controllo sui mercati economici e finanziari internazionali.
Quando è stata creata la Comunità economica europea la preoccupazione principale degli stati aderenti era di regolare i rapporti interni tra gli Stati europei ed evitare che il sorgere di nuovi conflitti potesse generare nuove guerre. Con la globalizzazione la funzione dell'Unione Europea si è estesa, poichè l'aggregazione dei singoli Stati europei si è rivelata utile sia per preparare le loro economie ad affrontare il libero mercato, sia per aumentarne il peso complessivo sui tavoli dei trattati e delle organizzazioni internazionali. Presi singolarmente i paesi membri dell'Europa non avrebbero sufficiente forza per trattare da pari con paesi di grande dimensione economica, come ad esempio Stati Uniti, Cina e India. Se l'Europa fosse unita anche politicamente oltre che economicamente potrebbe influenzare con ancora più forza le politiche degli organismi internazionali di controllo dell'economia e della finanza che, essendo frutto di accordi tra stati sovrani, sono istituzioni tecnocratiche non indirizzate attraverso processi di rappresentanza democratica.
In sintesi, l'Unione Europea aiuta i cittadini dei paesi europei a contare di più in un mondo sempre più globale e dominato dalle grandi economie.
Tuttavia, l'attuale Unione Europa non riesce ancora a svolgere un ruolo di primo piano nello scenario mondiale poiché non ha ancora acquisito la credibilità di soggetto unitario. L'Unione Europa, non essendo abbastanza integrata politicamente, non è riuscita a dotarsi di un ordinamento federale. In effetti, l'Unione Europea è un cantiere, una organizzazione economica e politica che si va formando attraverso un mercato unico, una moneta unica ed un processo di integrazione con delle istituzioni a supporto di queste funzioni.
A ben vedere, nonostante il processo di integrazione economica sia molto più avanzato rispetto a quello politico, occorre notare come le agenzie internazionali di valutazione economica non considerino affatto l'economia europea come un tutt'uno e rappresentino le prestazioni economiche dell'Europa come la somma algebrica dell'andamento delle economie dei singoli Stati membri, i quali hanno pesi economici differenti. In sostanza, un'analisi dei problemi dell'economia europea comporta ancora tante analisi quanti sono i paesi dell'Eurozona.
Questa premessa sulla natura dell'Unione Europea aiuta anche a comprendere perché le istituzioni europee non sono in grado di intervenire direttamente per indirizzare o per risolvere i problemi economici dei singoli paesi membri che conservano gran parte della loro sovranità. Infatti, gli Stati aderenti all'Unione Europea se per un verso hanno contratto degli obblighi attraverso i trattati multilaterali costitutivi dell'Unione Europea, per l'altro verso non hanno concesso alle istituzioni europee il potere di intervenire direttamente all'interno dei singoli paesi per l'attuazione degli interventi necessari al rispetto dei suddetti obblighi. In sostanza, l'attuazione delle politiche dell'Unione Europea dipende dai singoli governi nazionali degli Stati membri.
Poichè non tutte le istituzioni di governo degli Stati membri sono efficaci ed efficienti, l'attuazione delle politiche comunitarie non è uniforme, risente di eventuali problemi politici interni dei singoli paesi e, a volte, è frutto di furbi compromessi o colpevoli mancanze. La risposta alle crisi economiche dei singoli paesi membri dell'UE è inoltre fortemente condizionata dalla mancanza di una politica fiscale unitaria. Insomma, fino a quando il processo di integrazione europea non sarà completato, le responsabilità connesse all'amministrazione e all'economia dei singoli Stati membri sono completamente a carico dei Parlamenti e dei Governi nazionali e comportano un confronto, a volte ambiguo, tra le istituzioni europee e le istituzioni di governo degli Stati membri. Per inciso, questa natura pattizia tra istituzioni europee e paesi membri permane anche quando il mancato rispetto dei vincoli di bilancio stabiliti dai trattati europei determina il commissariamento europeo o della cosiddetta troika (BCE, Commissione UE e FMI).
Infatti, uno dei compiti delle istituzioni europee è di verificare il rispetto degli accordi sottoscritti dagli stessi Stati membri. Questi accordi impegnano collettivamente tutti i paesi aderenti a procedere su un percorso di riforme per allineare i diversi sistemi economici e consentire una maggiore integrazione economica e politica dell'Unione Europea. In pratica, le istituzioni europee verificano periodicamente il rispetto di determinati parametri e chiedono conto agli Stati aderenti degli scostamenti, prima di applicare eventuali sanzioni o ulteriori prescrizioni.
I principali vincoli economici imposti agli Stati membri dall'adesione all'Unione Europea sono:
- il rispetto dei parametri stabiliti nei vari trattati europei, poi confluiti nel "Trattato di Lisbona" che obbliga gli Stati a mantenere il deficit pubblico sotto la soglia del 3% ed il debito pubblico sotto la soglia del 60% del PIL o comunque a diminuirlo progressivamente se più elevato;
- il rispetto dei parametri stabiliti nel "Patto di bilancio europeo" o "Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria" (sottoscritto nel marzo 2012 dagli allora 27 Paesi dell'Unione europea, con l'esclusione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, ed entrato in vigore il 1 Gennaio 2013) che obbliga i 25 Stati firmatari a inserire in Costituzione il pareggio di bilancio, a mantenere il deficit pubblico sotto la soglia dello 0,5% ed a ridurre il debito pubblico sotto la soglia del 60% entro venti anni.
Se i governi ed i parlamenti nazionali si dimostrano incapaci di raggiungere gli obiettivi prefissati nei tempi prestabiliti (ovvero se hanno irresponsabilmente firmato i trattati europei pur sapendo di non poterli rispettare) scattano delle procedure di infrazione seguite da sanzioni o da un commissariamento, per cui gli Stati membri inadempienti sono costretti ad attuare una accelerazione delle riforme ritenute necessarie ai fini dell'integrazione europea.
Purtroppo una accelerazione nelle riforme può comportare interventi drastici non diluiti nel tempo, ovvero una tempistica che non tiene conto di eventuali altri problemi che il paese sta attraversando, determinando così la conseguenza che le riforme necessarie per "restare" in Europa sono pagate a caro prezzo dai cittadini di quei paesi. Infatti, le forze politiche euroscettiche contestano alle istituzioni europee che le riforme ed i tagli di bilancio, imposti ai Paesi membri in difficoltà come condizione per ottenere gli aiuti finanziari, comportano sacrifici ingiusti per le popolazioni e non per i governi o i governanti che hanno precedentemente commesso errori.
Ad esempio, questo è quanto accaduto con la crisi finanziaria internazionale del 2007, quando le economie reali sono state contagiate dalla crisi finanziaria ed alcuni Stati membri dell'UE si sono trovati ad affrontare contemporaneamente la crisi economica ed il mancato rispetto dei vincoli imposti dai trattati europei.
I paesi della zona Euro che avevano accumulato un ritardo nel cammino verso l'integrazione europea sono stati colpiti dalla crisi economica più pesantemente rispetto ai paesi che avevano già consolidato le loro economie nel quadro europeo, allontanandosi ulteriormente dagli obiettivi stabiliti dai vincoli di bilancio europei. I governi di questi paesi sono stati quindi costretti ad interventi economici che avevano obiettivi in parte contrastanti: da un lato combattere la crisi economica per minimizzare gli effetti negativi sulla popolazione, dall'altro attuare le riforme necessarie per rientare nei vincoli di bilancio imposti dall'adesione all'UE. Quale dei due obiettivi abbia prevalso costituisce un motivo di recriminazione per il modo in cui si sta costruendo l'Unione Europea ed è uno dei principali argomenti a sostegno delle tesi degli euroscettici.
Tuttavia, se per un verso il processo di integrazione europea può avere delle responsabilità sull'aggravamento delle conseguenze provocate dalle crisi economiche alle popolazioni di alcuni Stati membri, per l'altro verso occorre considerare la protezione implicita che l'appartenenza alla zona Euro ha conferito e conferisce ai paesi aderenti, oltre agli aiuti economici che l'Europa elargisce alle regioni sottosviluppate nell'ambito dei programmi di coesione territoriale.
Le responsabilità delle istituzioni europee e soprattuto della linea politica dei cosiddetti falchi dell'Unione Europea, invece, sono più definite per quanto riguarda la crisi dei debiti sovrani del 2011. Infatti, per alcuni Stati europei l'adesione all'Euro ha effettivamente rischiato di trasformarsi in un boomerang quando si è verificata una crisi di fiducia nei confronti dei paesi con un elevato debito pubblico e le istituzioni europee non sono intervenute tempestivamente, lasciando che la speculazione finanziaria materializzasse dei rischi di default. Tra il 2010 ed il 2011 alcuni paesi dell'Eurozona hanno subito una crisi dei debiti sovrani che ha rischiato di far saltare l'intero processo di integrazione europea.
La crisi del debito sovrano consiste in un rialzo eccessivo dei tassi di interesse sui titoli di stato che vengono periodicamente messi all'asta per finanziare il rinnovo e la crescita del debito pubblico. Lo Stato per riuscire a vendere i propri titoli di debito può essere costretto ad alzare il tasso di interesse, ma un tasso d'interesse troppo alto, in presenza di una grande quantità di debito, può minare la capacità dello Stato di far fronte al pagamento del debito. E' quanto accaduto a Grecia, Irlanda e Portogallo, dove il default del debito sovrano è stato evitato solo grazie all'intervento dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale che hanno finanziato con ingenti prestiti i piani di salvataggio predisposti dai governi nazionali. E' quanto accaduto all'Italia quando nel mese di Giugno 2011 lo "spread", cioè il differenziale di rendimento fra titoli di stato italiani e quelli tedeschi presi come riferimento, cominciò a crescere di mese in mese arrivando a superare i 500 punti nel mese di Novembre, causando la crisi del governo Berlusconi e la nascita di un governo tecnico di emergenza guidato da Mario Monti.
Non solo le istituzioni europee non avevano previsto dei meccanisimi automatici di riequilibrio degli spread sui tassi d'interesse dei titoli del debito pubblico emessi dagli Stati membri, ma sono anche intervenute tardivamente nel predisporre quegli strumenti in grado di sanare gli squilibri finanziari all'interno dell'Eurozona su richiesta dei singoli Stati membri. Infatti, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), istituito nel marzo 2011 sarebbe dovuto entrare in vigore addirittura a metà 2013 e solamente dopo accese discussioni ne fu anticipata l'adozione al mese di Luglio 2011.
Oltre ai ritardi, è stato contestato alle istituzioni europee di applicare in modo troppo rigido i parametri del patto di stabilità a quei paesi che hanno un debito pubblico elevato e che si trovano così nella difficile condizione di dovere adottare politiche di bilancio restrittive anche in periodi di crisi, quando invece sarebbe necessario adottare politiche espansive. La richiesta di una maggiore flessibilità nell'applicare i vincoli imposti dal patto di stabilità viene anche dalle forze politiche moderate nei paesi dove gli effetti della crisi economica hanno esacerbato la popolazione e favorito l'ascesa di forze politiche populiste o estremiste, spesso contrarie al processo di integrazione europea.
Tuttavia, le istituzioni europee non hanno molti margini per applicare in modo discrezionale i vincoli europei, a meno che non siano previste specifiche clausole o vi sia unanime accordo di tutti gli aderenti ai trattati essendo questi di natura multilaterale, mentre una eventuale rimodulazione dei trattati al fine di consentire maggiore flessibilità non sembra al momento una via percorribile a meno di non voler interrompere il processo di integrazione europea.
Probabilmente le polemiche sulle modalità con le quali si sta realizzando il processo di integrazione europea sono destinate a durare almeno fino a quando questo non sarà completato, o se dovesse fallire anche oltre, mentre per i normali cittadini è sempre più complicato comprendere dove vengono prese le decisioni economiche che riguardano la loro vita di tutti i giorni, se a livello nazionale, europeo o internazionale.