La situazione politica italiana e la pandemia Covid 19
L’esplosione della pandemia Covid 19 determinò una serie di avvenimenti a catena che travolsero la società, la Pubblica Amministrazione - in particolare il Sistema Sanitario Nazionale - e la politica. Infatti, il quadro politico italiano cambiò drasticamente quando l’intervento finanziario europeo attuato attraverso il Next generation EU costrinse i partiti sovranisti a rivedere la loro posizione nei confronti dell’Unione Europea. La situazione di emergenza aveva ovviamente rafforzato le preorogative del Governo, tant’è vero che sui social media echeggiò l’accusa di “dittatura sanitaria”, facendo emergere un dibattito politico marginale sul presunto indebolimento del Parlamento e della rappresentanza democratica, che però appariva surreale considerato che ormai da decenni il sistema parlamentare italiano è connivente con l’uso della decretazione d’urgenza per la produzione normativa ordinaria. In realtà, la preoccupazione dei partiti politici riguardava l’ingente quantità di finanziamenti che il governo italiano avrebbe dovuto gestire accelerando sulle riforme strutturali, condicio sine qua non per ottenere i finanziamenti europei. Questo meccanismo di controllo, basato sull’erogazione dei finanziamenti solamente dopo l’attuazione degli interventi, avrebbe messo al riparo il governo dalla pressione non sempre trasparente dei partiti politici.
Il quadro politico italiano è stato modificato dalle conseguenze generate dalla pandemia Covid 19. Più specificatamente, la situazione politica è stata condizionata:
- dalle misure attuate dal governo per impedire l'insorgere dei focolai di epidemia e per superare la crisi del Sistema Sanitario Nazionale (sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva e impossibilità di garantire le altre prestazioni sanitarie);
- dal forte impatto negativo sull'economia che hanno avuto le misure di distanziamento sociale attuate per limitare la diffusione del coronavirus tra i cittadini, il cosiddetto "lockdown";
- dalle misure attuate dall'Unione Europea per aiutare i paesi economicamente più fragili a superare l'impatto della crisi economica generata dalla pandemia.
Le conseguenze politiche della pandemia e delle misure attuate per contrastarne la diffusione e mitigarne i danni sono state consistenti e hanno riguardato il rapporto tra politica e Pubblica Amministrazione, il rapporto tra partiti politici e governo e le piattaforme politiche di alcuni partiti.
Politica versus Pubblica Amministrazione
La catena di comando della Pubblica Amministrazione ha mostrato tutti i suoi limiti dovuti a una serie di scelte politiche del passato che in nome dell'autonomia hanno di fatto generato una moltiplicazione dei centri di potere locale, una confusione istituzionale aggravata dal rispetto pedissequo delle norme burocratiche per non incorrere in responsabilità legali. La Pubblica Amministrazione italiana, solerte nell'applicazione di atti formali ineccepibili, è stata incapace di decidere nel merito quando era necessario. In altre parole, l'incertezza determinata dalla stratificazione della Pubblica Amministrazione ha comportato la necessità di emanare un decreto governativo non solamente per disciplinare e coordinare gli interventi, ma anche per dare copertura legale alle amministrazioni periferiche restie a emanare provvedimenti straordinari potenzialmente in grado di comportare una qualche responsabilità oggettiva. Quasi nulla si è mosso senza un decreto ad hoc del Governo con un rimpallo continuo di responsabilità tra i diversi livelli di governo, soprattutto nazionale e regionale. Autonomie paradossalmente incapaci di procedere in autonomia.
Impressionanti le differenze a livello terrritoriale ma anche funzionale con il quale sono state recepite le misure di emergenza governative dalle varie strutture organizzative riconducibili alla Pubblica Amministrazione. Ad esempio, nella diversità di gestione delle strutture sanitarie o nell'applicazione di controlli agli aeroporti.
Eppure il Governo italiano si è attivato tempestivamente, infatti l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, in inglese WHO: World Health Organization) ha dichiarato l'emergenza internazionale per l'epidemia di coronavirus il 30 gennaio 2020 mentre il primo provvedimento del Ministero della Salute è del 25 gennaio e quello del Consiglio dei Ministri è del 31 Gennaio. La delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 nella quale si dichiarava lo stato di emergenza ha avuto effetti discordanti sulla Pubblica Amministrazione.
Se il Governo è titolare del potere esecutivo mentre la Pubblica Amministrazione costituisce il braccio operativo del Governo non si capisce perché in una situazione di emergenza il potere del Governo sia stato frequentemente messo in discussione proprio da branche della Pubblica Amministrazione, le quali per un verso hanno lamentato un'eccessiva ingerenza del governo e per l'altro verso un mancato intervento o un intervento non tempestivo del governo, in un coarcevo di "convenienze" politiche territoriali o occasionali in evidente contraddizione con una visione di sistema della Pubblica Amministrazione. La cosiddetta amministrativizzazione delle regioni è certamente una delle cause dell'inefficienza della Pubblica Amministrazione, in particolare per quanto riguarda il Sistema Sanitario Nazionale.
Il tema dell'inefficienza della Pubblica Amministrazione è tutt'ora uno dei nodi cruciali da sciogliere anche per l'attuazione delle norme in grado di agevolare la ripresa economica. Non è solamente l'eccesso di burocrazia a rallentare e spesso a far impantanare i progetti gestiti dalla Pubblica Amministrazione, ma anche l'incoerenza di decisioni che non tengono in debito conto il rapporto tra costi e benefici della spesa pubblica.
Le risorse finanziarie stanziate dal Governo e approvate dal Parlamento, nonché le ingenti risorse stanziate dall'Unione Europea per l'Italia, devono essere spese efficientemente in conto capitale - non in spesa corrente - al fine di ottenere consistenti benefici in favore di tutto il sistema economico e, possibilmente nel giro di pochi anni, anche per le casse dello Stato. In pratica, queste risorse finanziarie sono una tantum e accrescono il debito pubblico, quindi devono essere utilizzate esclusivamente per far fare un salto di livello all'economia italiana attraverso una consistente crescita economica, in modo da generare un maggior gettito fiscale per far fronte al crescente debito pubblico. E' quindi fondamentale che la spesa pubblica sia efficiente, senza sprechi, ritardi o costi impropri e massimizzi i risultati economici degli investimenti.
Qualora ciò non accadesse il rischio di un default finanziario dello Stato italiano diverrebbe insostenibile (il rischio ha un costo che si scarica sui tassi d’interesse), a meno che non si imponga un trasferimento forzoso e piuttosto consistente di ricchezza privata nelle casse dello Stato. In estrema sintesi, occorre considerare che nonostante l’ingente afflusso di capitali proveniente dall’Unione Europea, la situazione finanziaria dello Stato italiano è tendenzialmente peggiorativa: lo Stato italiano si sta indebitando ulteriormente mentre rischia una riduzione delle entrate fiscali a causa della recessione economica. Infatti, il rapporto tra lo stock di debito pubblico e il PIL (Prodotto Interno Lordo), a circa il 130% prima dell’epidemia, ha raggiunto il 155,6% nel 2020.
Sempre a condizione che i mercati finanziari non si allarmino e ripongano fiducia nelle capacità del sistema economico italiano e dello Stato di far fronte agli impegni finanziari, una spesa pubblica oculata ed efficiente delle risorse finanziarie stanziate per la ripresa rappresenta l’ultima chiamata per l’Italia: o si risale la china della crescita o si affonda definitivamente schiacciati dal peso di un debito insostenibile.
C'è però un elemento strutturale che gioca a sfavore dell'Italia e della politica: il Governo e il Parlamento decidono dove spendere, in quali poste di bilancio ascrivere la spesa pubblica ma poi è la Pubblica Amministrazione a gestire concretamente i processi di spesa e anche molte decisioni di spesa. L'assenza di controlli di merito, la burocratizzazione, la proliferazione dei centri di potere connessi all'amministrazione di risorse finanziarie pubbliche (i quali tendono a indirizzare la spesa pubblica verso obiettivi di consenso politico e non di massimizzazione del rapporto costi/benefici economici - una pratica che coinvolge i partiti politici anche sul piano nazionale ma con una diversa visibilità e responsabilità) e tutti gli altri limiti dell'organizzazione e delle modalità di funzionamento della Pubblica Amministrazione rischiano di vanificare decisioni politiche teoricamente corrette.
Non è un caso che durante l'elaborazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si sia discusso di commissariamenti, di forme eccezionali ed emergenziali di gestione della spesa pubblica, vista l'incapacità della Pubblica Amministrazione ordinaria di portare avanti progetti con tempi e costi ragionevoli. Una soluzione tampone che andrebbe bene per i grandi progetti ma che difficilmente potrebbe funzionare per investimenti diffusi sul territorio o per investimenti immateriali come istruzione, tecnologia, capacità cognitive e produttive dei cittadini.
Inoltre, indipendentemente dal governo in carica, la gestione di questa consistente spesa pubblica straordinaria dovrà fare i conti con le aspettative e la tutela di interessi contrastanti da parte dei partiti politici, che di fatto ogni anno all'approssimarsi delle scadenze della legge di bilancio tentano il cosiddetto "assalto alla diligenza".
Lo spiazzamento dei partiti politici di fronte allo “strapotere” del Governo Conte bis
Ormai da decenni i governi italiani vanno acquisendo una sempre maggiore visibilità agli occhi dell'opinione pubblica, una tendenza favorita dagli stessi partiti politici che hanno potuto esercitare una crescente pressione politica, non sempre trasparente, direttamente sul potere esecutivo, a discapito delle inizitive parlamentari che troppo spesso finivano per arenarsi: la cosiddetta palude del Parlamento italiano.
La proliferazione delle leggi d'iniziativa governativa, l'uso ormai quotidiano della decretazione d'urgenza e dei decreti legislativi hanno testimoniato la tendenza dei partiti politici a far leva sull'azione di governo piuttosto che sulla capacità legislativa delle maggioranze parlamentari per l'attuazione dei programmi elettorali, nella consapevolezza che i governi sono sempre stati fragili e quindi sotto scacco da parte del potere politico. In altre parole, si può cambiare governo o fare un cosiddetto rimpasto senza rinnovare il Parlamento con nuove elezioni, quindi senza mettere a rischio la forza relativa di questo o quel partito politico della maggioranza di turno.
A tal proposito, sono apparse surreali le polemiche sul rinnovo dello stato di emergenza sanitaria in un paese che ha fatto dell'emergenza (ovvero della decretazione d'urgenza) la sua ratio politica principale e che si trova ad affrontare una reale situazione emergenziale senza precedenti.
Il Governo Conte bis, che per una serie di circostanze politiche nasceva su solide basi per quanto riguarda la sua tenuta nel tempo - tendenzialmente almeno fino alle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica - è stato rafforzato dalla situazione di emergenza economica e sanitaria determinata dalla pandemia. La maggioranza politica che sosteneva il governo Conte bis era sostanzialmente già bloccata in partenza, poiché l'unica possibilità rimasta per cambiare gli equilibri tra partiti politici sarebbe stata quella di rinnovare il Parlamento con nuove elezioni. Anche una eventuale rimodulazione della nuova maggioranza era ostacolata da equilibri politici troppo fragili per essere messi in discussione almeno nel breve periodo.
Più specificatamente, l'imprevista emergenza da pandemia ridusse ulteriormente il potere di trattativa dei partiti politici nei confronti del governo. Il rischio di ritrovarsi in una situazione ingestibile sul piano politico-istituzionale, nel mezzo di una crisi economica e sociale con consistenti e urgenti azioni da compiere sul piano europeo e internazionale, aveva indotto i partiti della maggioranza di governo a esercitare cautela con i propri distinguo per non rischiare di scombinare i fragili equilibri politici che sarebbe stato troppo difficile ricomporre.
Tuttavia, successivamente al varo del piano europeo Next Generation EU, il Governo Conte bis oltre alla gestione della situazione di emergenza si trovò a dover pianificare e gestire una montagna di risorse finanziarie, come mai prima nella storia della Repubblica, finalizzate all'attuazione di un piano di ristrutturazione del sistema economico italiano.
Nessun partito politico poteva prevedere questa rapida evoluzione degli eventi e questa sorta di affrancamento del potere esecutivo dalle considerazioni espresse nei meandri delle segreterie di partito. Ovviamente i governi devono sempre rispondere alle maggioranze parlamentari che li esprimono, ma nel sistema parlamentare italiano le segreterie di partito hanno sempre esercitato una forte influenza sui governi.
Insomma, la circostanza che a gestire le prossime necessarie riforme e investimenti per miliardi di euro fosse un governo guidato da un Presidente del Consiglio non invischiato dalla logica spartitoria del sistema dei partiti italiani fece letteralmente impazzire una parte del sitema politico, economico e mediatico italiano.
Tuttavia, l’agitazione di alcuni partiti si sarebbe rivelata inutile perché il meccanismo di controllo messo a punto dalla commissione europea con il Next generation EU consente lo sblocco dei finanziamenti solamente dopo l’attuazione degli interventi programmati, per cui qualsiasi governo responsabile sarebbe stato messo al riparo dalla bramosia dei partiti politici non più nelle condizioni di imporre deviazioni una volta approvato il PNRR (pena la decadenza del finanziamento).
Il sovranismo e le verità nascoste
Per essere sovranisti - nel senso generico di tutelare determinati interessi nazionali contrastando l'interesse generale perseguito da altri Stati o organizzazioni - bisogna poter contare su una potenza di fuoco politica ed economica del proprio paese abbastanza grande da imporre ad altri la propria volontà (giusta o sbagliata che sia).
L'Italia, invece, non è nelle condizioni politiche ed economiche per imporre la propria volontà ma può trattare, cercare alleanze e convergenze. Questa è la verità nascosta del sovranismo all'italiana che altro non è che populismo mascherato da sovranismo.
L'epidemia da Covid 19 ha contribuito a smascherare il sovranismo all'italiana evidenziando la fragilità sociale, economica e amministrativa dell'Italia. L'intervento dell'Unione Europea in aiuto dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica generata dalle misure restrittive di contrasto alla diffusione della pandemia ha completamente screditato il sovranismo all'italiana.
La trattativa presso le istituzioni dell'Unione Europea portata avanti per l'Italia dal Presidente del Consiglio Conte e dal Ministro Gualtieri diede i suoi frutti e l'Italia ha ottenuto la quota di gran lunga maggiore del Next generation EU, il piano finanziario europeo finalizzato a risollevare le economie dei paesi membri: circa 68,9 miliardi di euro a fondo perduto e 122,6 di prestiti.
Tra l'altro, alla luce di questo ingente finanziamento è apparsa surreale la discussione politico-mediatica che a un certo punto ha pervaso la cronaca politica riguardo ulteriori 30 miliardi da prendere eventualmente a prestito con lo strumento del MES - il Meccanismo Europeo di Stabilità - o fondo salva-Stati.
In ogni caso, i partiti di destra, antieuropeisti e sovranisti, si sono ritrovati in un vicolo cieco per quanto riguarda l'evoluzione della loro piattaforma politica, poiché il sovranismo cozzava ormai platealmente con la realtà e gli interessi dell'Italia e degli italiani.