La Riforma Costituzionale 2016

Periodo di riferimento: 2016
L’elaborazione di una riforma della Costituzione della Repubblica italiana mirata a eliminare il bicameralismo perfetto per rendere il Parlamento più efficiente era l’obiettivo principale per cui era nato il governo Renzi. Il discorso programmatico del Presidente del Consiglio per la richiesta di fiducia alle camere non lascia dubbi in proposito. La formazione del governo Renzi avrebbe dovuto creare le condizioni affinchè il Parlamento potesse varare, principalmente attraverso la collaborazione tra Partito Democratico e Forza Italia, una riforma costituzionale. E in effetti la legge costituzionale di riforma fu approvata il 12 Aprile 2016, ma con una maggioranza inferiore ai due terzi delle camere per cui si rendeva necessario sottoporla a referendum confermativo per poterla promulgare. Probabilmente da un punto di vista tecnico questa legge non era riuscita benissimo, anche perché la trasformazione del Senato in camera delle autonomie regionali comportò la necessità di modificare in modo consistente il Titolo V della Costituzione, ovvero i rapporti fra lo Stato e gli enti locali. Tuttavia, questa riforma naufragò principalmente per motivi politici. In parte perché una controversa legge elettorale a doppio turno con ballottaggio per l’elezione del Parlamento (soprannominata Italicum) fu approvata in anticipo rispetto alla riforma della Costituzione. E questa legge elettorale sarebbe entrata in vigore automaticamente dopo la promulgazione della riforma costituzionale minando la rappresentatività del Parlamento, già ridimensionato dalla riforma. Per l’altra parte, le forze politiche di opposizione al governo e di opposizione interna alla direzione del Partito Democratico strumentalizzarono il referendum confermativo per provocare la crisi del Governo Renzi.

Icona Istituzioni dello Stato

La riforma costituzionale, approvata dal Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016, doveva essere approvata dai cittadini con il referendum confermativo del 4 Dicembre 2016. La riforma apportava diverse modifiche alla II parte della Costituzione della Repubblica Italiana, la parte che disciplina il funzionamento delle istituzioni.

In sintesi la riforma modificava:

  1. il funzionamento del Parlamento attraverso l'eliminazione del bicameralismo paritario (Camera dei Deputati e Senato non avrebbero avuto più le stesse funzioni poichè il Senato sarebbe diventato l'organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali) e, conseguentemente, i procedimenti di approvazione delle diverse tipologie di legge;
  2. il numero dei parlamentari e la modalità di elezione del Presidente della Repubblica;
  3. la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni (il Titolo V);
  4. il CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) e le province, eliminando queste istituzioni dall'ordinamento costituzionale;
  5. gli strumenti di democrazia diretta;
  6. le indennità dei senatori e dei consiglieri regionali;
  7. alcuni aspetti riguardanti l'efficienza, la trasparenza e l'onestà delle amministrazioni regionali e locali introducendo in costituzione nuovi principi e strumenti legislativi.

Il quesito sottoposto all'approvazione degli elettori era il seguente:

«Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».

Il posizionamento dei partiti nei confronti della riforma e del referendum costituzionale era quasi completamente allineato con il posizionamento politico nei confronti del governo in carica. La quasi totalità dei partiti della maggioranza parlamentare era favorevole alla riforma mentre era contraria la quasi totalità dei partiti di opposizione al governo.

Questa situazione appariva anomala poiché sul tema delle riforme costituzionali e sul funzionamento delle istituzioni ci si dovrebbe aspettare un posizionamento dei partiti più variegato e non appiattito su posizioni filo o anti governative. Si sarebbe dovuto rilevare un posizionamento dei partiti più articolato, coerente con la cultura politica, la storia e i valori di riferimento dei partiti stessi.

Per quanto riguarda il posizionamento dei partiti della maggioranza parlamentare il sostegno alla riforma era coerente con la genesi del Governo Renzi, nato come risposta alla grave crisi istituzionale che aveva indotto i principali partiti politici a chiedere al Presidente della Repubblica uscente, Giorgio Napolitano, la disponibilità per un secondo mandato. Giorgio Napolitano aveva concesso questa disponibilità a condizione che gli stessi partiti politici si impegnassero a varare le riforme istituzionali. Questa sarebbe dovuta essere anche la priorità del Governo Letta, ma a circa 10 mesi dalla sua formazione, il Governo Letta si era arenato sul tema delle riforme istituzionali, infatti l'accordo tra i partiti politici della maggioranza era stato fortemente ridimensionato dalla estromissione di Silvio Berlusconi dal Parlamento e conseguentemente del Popolo della Libertà dalla maggioranza. Sebbene la ridimensionata maggioranza parlamentare avesse i numeri per sostenere il Governo Letta, non sarebbe stata più in grado di varare le riforme costituzionali. La situazione di stallo sulle riforme fu superata dopo l'elezione di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico, poiché il cambio di vertice nel PD riaprì la strada a una trattativa con Forza Italia finalizzata a sbloccare le riforme istituzionali attraverso la formazione del Governo Renzi.

Infatti, nel discorso programmatico per la richiesta della fiducia al Senato il Presidente del Consiglio incaricato, Matteo Renzi, disse senza lasciare dubbi su quale sarebbe stata la priorità del suo Governo: "comunico fin dall'inizio che vorrei essere l'ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest'Aula"*. Il Governo Renzi, quindi, si impegnava formalmente e fattivamente nei confronti del Parlamento, che gli votò la fiducia, a procedere sulla strada delle riforme costituzionali. Questo impegno del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, era inoltre reso possibile e rafforzato dal suo ruolo di segretario del Partito Democratico.

E' quindi innegabile che il governo Renzi avesse tra i suoi obiettivi primari la realizzazione delle riforme istituzionali, come era stato esplicitamente richiesto dallo stesso Giorgio Napolitano prima di accettare il secondo mandato da Presidente della Repubblica. Le ventilate dimissioni di Matteo Renzi dal ruolo di Presidente del Consiglio in caso di sconfitta nel referendum confermativo erano quindi coerenti con il mancato raggiungimento di uno degli obiettivi programmatici fondamentali del suo governo.

L'opposizione alle riforme costituzionali e al referendum confermativo è, invece, sembrata in gran parte determinata da considerazioni di carattere politico elettorale piuttosto che da rilievi di merito sulla qualità, certamente non brillante, della legge costituzionale di riforma. Tant'è vero che i partiti di opposizione inizialmente avevano giustificato la loro contrarietà alla riforma costituzionale sollevando una questione di metodo, ovvero la personalizzazione del referendum da parte del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

E', invece, apparsa meno pretestuosa la preoccupazione per il legame esistente tra l'approvazione della riforma costituzionale e l'entrata in vigore della controversa legge elettorale soprannominata Italicum, già approvata dal Parlamento, che però essendo una legge ordinaria poteva essere cambiata agevolmente.

Anche il dibattito che si è sviluppato in una seconda fase della campagna referendaria sul merito della riforma costituzionale ha assunto toni surreali. Più che della sostanza della riforma costituzionale si è, infatti, discusso di dettagli e tecnicismi di diritto costituzionale, sottovalutando l'analisi critica di importanti aspetti come l'impianto generale della riforma, la sua storia parlamentare, il cambiamento del clima politico attorno alle riforme, le conseguenze dirette e indirette sulla vita politica del paese e dei cittadini, i cambiamenti indotti dalla riforma nell'organizzazione statale, nei mercati finanziari e nel contesto politico europeo e internazionale.

In sintesi, l'appiattimento delle opposizioni sulla contrarietà alla riforma costituzionale più che una questione di merito è apparsa come una scelta dettata da interessi di bottega. Attraverso la bocciatura del referendum confermativo le forze politiche sembra abbiano voluto modificare i rapporti di forza tra partiti, per quanto riguarda gli schieramenti all'opposizione, e i rapporti di forza delle correnti, per quanto riguarda il conflitto interno al Partito Democratico.

Come spesso accade in Italia, i Governi rischiano di diventare nel corso della legislatura il capro espiatorio dei partiti politici e sembra che questo sia accaduto anche con il referendum confermativo, poiché la lotta tra schieramenti e fazioni per fini esclusivamente elettorali ha prevalso sulle questioni di merito. Infatti, a inizio legislatura i partiti politici, i mass media e i cittadini erano concordi nel ritenere prioritaria una riforma delle istituzioni. Successivamente, nel corso della legislatura il clima politico è cambiato. Terminata la situazione di emergenza, le forze politiche hanno iniziato a sfilarsi dalle responsabilità di governo e per tornaconto elettorale si sono riposizionate marcando progressivamente le loro critiche al governo o evidenziando e accentuando le distanze dal governo pur restando nella maggioranza parlamentare. E' in questo contesto politico che si è svolta la votazione per il referendum confermativo sulle riforme costituzionali.

Riferimenti