Le origini dello Stato italiano e la Costituzione repubblicana
Mentre le origini dello Stato italiano possono essere fatte risalire intorno all’anno mille, la nascita della Repubblica italiana è relativamente recente. La Costituzione della Repubblica italiana fu promulgata il 27 Dicembre 1947 dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, ed entrò in vigore il 1° Gennaio 1948. L’attuazione della Costituzione repubblicana fu uno dei nodi cruciali per l’evoluzione democratica del paese.
Le origini dello Stato italiano possono essere fatte risalire intorno all’anno mille, alla creazione della “Contea di Savoia” elevata nel 1416 a “Ducato di Savoia”. Dal 1713 al 1720 il Ducato cambiò denominazione in “Regno di Sicilia” poichè i Savoia avevano ottenuto il titolo regio con l’annessione al preesistente Regno di Sicilia. Il Regno di Sicilia fu poi restituito dai Savoia agli Asburgo in cambio del preesistente Regno di Sardegna, così dal 1720 il Ducato divenne “Regno di Sardegna” finchè il 17 marzo 1861, il XXIV re di Sardegna, Vittorio Emanuele II di Savoia, proclamò la nascita del “Regno d’Italia”.
Sebbene il Regno d'Italia ereditasse le leggi e la soggettività giuridica dello Stato piemontese, la realizzazione dell'unificazione nazionale fece dello Stato italiano una entità politica del tutto nuova frutto del Risorgimento italiano: dai moti carbonari alle rivolte mazziniane, dalla "primavera dei popoli" alla prima e seconda guerra d'indipendenza, alla spedizione dei Mille di Garibaldi.
Molteplici furono le annessioni territoriali durante il Risorgimento, ma il processo di unificazione dello Stato italiano continuò anche dopo la proclamazione del Regno d'Italia con le guerre del 1866, del 1870 e del 1915-18. Infatti, alcune regioni d'Italia hanno origini e storie differenti poichè sono diventate parte dello Stato italiano in tempi diversi: durante il Risorgimento, durante il Regno d'Italia e anche successivamente come conseguenza della seconda guerra mondiale quando sono intervenute le ultime modifiche territoriali a determinare gli attuali confini dello Stato italiano.
Oltre a determinare i confini attuali, le vicende sviluppatesi tra il 1943 ed il 1946 determinarono una profonda trasformazione delle istituzioni italiane con il passaggio dalla monarchia alla repubblica e con il ripristino della democrazia e della libertà in forme più avanzate e diffuse rispetto all'Italia pre-fascista. Infatti il 2 Giugno 1946, contemporaneamente alla consultazione popolare per eleggere i membri dell'Assemblea costituente, fu indetto un referendum per scegliere fra monarchia e repubblica. Risultarono favorevoli alla Repubblica 12.717.923 elettori, mentre 10.719.284 furono i voti favorevoli alla monarchia e 1.498.136 i voti nulli. L'assemblea costituente risultò composta da 207 deputati della Democrazia Cristiana, 115 socialisti, 104 comunisti su un totale di 556 deputati.
La Costituzione della Repubblica
L’Assemblea costituente si riunì il 25 Giugno del 1946 e dopo aver prorogato per tre volte la sua durata, il 22 Dicembre del 1947 approvò la Costituzione della Repubblica Italiana che fu promulgata il 27 Dicembre 1947 dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, ed entrò in vigore il 1° Gennaio 1948.
Durante i lavori dell'Assemblea costituente, il cui compito principale era di redigere la nuova costituzione, la forma di governo vigente in Italia prevedeva che il Governo fosse politicamente responsabile nei confronti dell'Assemblea e che esercitasse anche la funzione legislativa, attraverso "decreti legislativi", con l'esclusione di alcune materie. L'Assemblea costituente, infatti, oltre a votare la fiducia al governo doveva approvare le leggi di bilancio e la ratifica dei trattati internazionali. Nel periodo in cui fu attiva l'Assemblea Costituente votò la fiducia ai Governi De Gasperi II, III e IV, approvò le leggi di bilancio per gli anni 1947 e 1948 e ratificò i trattati di pace, firmati a Parigi il 10 febbraio 1947.
Fu proprio con il IV governo De Gasperi (31 Maggio 1947 - 23 Maggio 1948) che si consumò una avvenimento politico decisivo per il futuro dell'Italia: l'esclusione dal governo dei partiti di sinistra (socialisti e comunisti) ovvero il passaggio da una situazione di collaborazione fra tutti i partiti antifascisti a una situazione di forte contrapposizione tra i partiti di governo (Democrazia Cristiana e suoi alleati) e i partiti di opposizione (costituiti a sinistra dal partito comunista e a destra dal Movimento Sociale Italiano formatosi nel '47 come erede ideale del fascismo).
Questo mutamento dello scenario politico italiano fu determinato da due fattori principali:
- la situazione internazionale che si era determinata con lo scoppio della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica e rispettivi alleati;
- la scissione del Partito Socialista Italiano, detta scissione di palazzo Barberini, che determinò la nascita del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (in seguito Partito Socialista Democratico Italiano), nel quale confluì quasi la metà dei parlamentari socialisti eletti nell'Assemblea costituente appartenenti alla corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat, il quale rimproverava al Partito Socialista Italiano legami troppo stretti con l'Unione Sovietica e un sostanziale appiattimento sulle posizioni del Partito Comunista Italiano, a differenza di quanto accadeva nel resto d'Europa dove i partiti socialisti avevano assunto posizioni autonome.
La conseguenza di questo mutamento dello scenario politico fu la cristallizzazione dei ruoli di alcuni partiti politici, destinati a restare o permanentemente al governo o permantemente all'opposizione, bloccando qualsiasi ipotesi di alternanza politica e determinando un'anomalia nella forma di governo parlamentare italiana.
L’attuazione della Costituzione repubblicana
Un altro nodo cruciale della vita politica italiana nel II dopoguerra riguarda l’attuazione della Costituzione repubblicana.
La Costituzione della Repubblica Italiana si compone di due parti: la prima enuncia una serie di principi cui l’ordinamento giuridico deve uniformarsi, la seconda riguarda l'organizzazione costituzionale dello Stato e disciplina il ruolo e le funzioni del Parlamento, del Governo e del Capo dello Stato.
Per quanto attiene l'organizzazione dello Stato la Costituzione repubblicana non introduce sostanziali novità rispetto alla forma di governo parlamentare prevista nell'ordinamento statale prefascista, ma statuisce l'introduzione di un ordinamento regionale, del referendum, della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura, del rafforzamento delle autonomie locali e della tutela delle formazioni sociali.
Per quanto attiene i principi costituzionali l'attuazione delle norme contenute nella prima parte della Costituzione avrebbe dovuto comportare un generale ripensamento delle leggi prodotte anteriormente alla entrata in vigore della Costituzione e non direttamente abrogate dal nuovo ordinamento. Invece, in una prima fase della vita della Repubblica, i governi "centristi" formati dalla Democrazia Cristiana e dai partiti laici (PLI, PRI e PSDI) non si limitarono solamente a disapplicare i principi costituzionali e a omettere di realizzare molti dei nuovi istituti ivi previsiti, ma favorirorono l'opera svolta dalla burocrazia e dalla magistratura, che erano rimaste quelle del regime precedente senza alcuna epurazione, di rimettere in vigore gran parte delle disposizioni legislative del vecchio ordinamento e che in un primo momento erano state disapplicate in quanto ritenute superate e in contraddizione con i principi costituzionali. In pratica la "continuità" dello Stato e del suo ordinamento giuridico, che avrebbe dovuto essere solo formale, divenne in effetti sostanziale qualificando politicamente il carattere della nuova repubblica. La Corte di cassazione, sostanzialmente avallata dalla maggioranza parlamentare, dal governo e dalla pubblica amministrazione, stabilì che le disposizioni di principio della Costituzione non avrebbero avuto alcun effetto giuridico fino a quando non fossero state tradotte in disposizoni legislative dal Parlamento, costituendo così solamente una sorta di promemoria. Ancora più subdole furono le distorsioni di alcune indicazioni contenute nella Costituzione, utilizzate dalla maggioranza parlamentare per ripristinare alcuni istituti del vecchio ordinamento spacciandoli come realizzazioni della repubblica democratica. Unica importante novità di questo periodo fu l'istituzione della Corte Costituzionale, resa operativa il 15 dicembre del 1955, che di li a poco fu in grado di svolgere un ruolo decisivo nell'applicazione delle norme costituzionali denunciando l'inadempienza delle forze politiche e affermando l'immediata operatività dei principi costituzionali.
In una seconda fase definita di "centrosinistra", iniziata prima con l'appoggio esterno del PSI (Governo Fanfani IV varato il 22 febbraio del 1962) e poi con l'ingresso del Partito Socialista nella maggioranza parlamentare (Governo Moro I varato il 5 dicembre del 1963) il governo e il parlamento mostrarono un impegno maggiore nell'attuazione delle disposizioni contenute nella carta Costituzionale approvando gli statuti delle quindici regioni ordinarie, lo statuto dei diritti dei lavoratori e aprendo definitivamente la strada all'attuazione dei principi costituzionali in sintonia con il processo di modernizzazione e di sviluppo del paese. Negli anni '80, mentre venivano implementate le norme costituzionali rimaste prive di leggi di attuazione, cominciarono anche le prime discussioni sulla necessità di riformare alcune norme della Costituzione attinenti l'organizzazione dello Stato, tuttavia i vari tentativi di riforma fallirono o ebbero esiti parziali.