Il Governo Draghi
Il governo tecnico di Mario Draghi rappresenta l’ennesimo commissariamento del sistema parlamentare italiano che ormai frequentemente non riesce a trovare una soluzione politica per la gestione del potere esecutivo e quando la trova questa conduce abitualmente alla formazione di governi instabili e/o inefficaci. Questa discrasia si è aggravata nell’ultimo decennio ed è destinata ad aggravarsi ulteriormente perché il governo è l’organo costituzionale a cui spettano le funzioni più critiche nel contesto delle relazioni europee e della globalizzazione. Infatti, il governo Draghi è stato visto dall’opinione pubblica come una garanzia di successo per il superamento delle diverse situazioni di crisi e il raggiungimento degli obiettivi economici del paese. La particolarità che distingue il governo Draghi dai precedenti governi tecnici è che la sua formazione non è stata patrocinata per attuare riforme che comportano prevalentemente tagli della spesa pubblica - e conseguentemente un calo dei consensi per i partiti politici più vicini al governo - ma, al contrario, riforme finanziate con un consistente aumento della spesa pubblica straordinaria per alcuni anni e che probabilmente avranno un impatto positivo sull’opinione pubblica.
Come disposto dall'art. 93 della Costituzione della Repubblica italiana, la formazione del Governo Draghi è stata sancita il 13 febbraio 2021 con il giuramento del Presidente del Consiglio e dei Ministri nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Governo Draghi ha poi chiesto e ottenuto la fiducia del Parlamento, al Senato il 17 febbraio e alla Camera dei Deputati il 18 febbraio 2021.
Il governo Draghi è il terzo governo della XVIII legislatura e succede al Conte II in seguito alla crisi di governo determinata dalle dimissioni dei Ministri espressi da Italia Viva (Teresa Bellanova e Elena Bonetti) dopo la presa di posizione del leader del partito, Matteo Renzi, nei confronti dell'esecutivo piuttosto che degli altri componenti della maggioranza parlamentare.
Poiché nell'ordinamento democratico italiano solamente il Parlamento può approvare in via definitva le leggi (inclusi i provvedimenti legislativi del Governo come i Decreti legge e i Decreti legislativi) e un paese si governa sostanzialmente con le leggi, le potenzialità del governo vanno sempre commisurate alla volontà del Parlamento e, nel caso specifico, di questo Parlamento la cui composizione non è mutata rispetto ai precedenti governi, Conte I e Conte II.
E il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha evidentemente tenuto conto della centralità del Parlamento e del ruolo svolto dai partiti politici inserendo strategicamente nella propria squadra di governo numerosi ministri designati dai partiti.
Il Governo Draghi è, infatti, formato da 23 Ministri di cui 15 in rappresentanza dei partiti che compongono la maggioranza e 8 indipendenti. Oltre gli 8 Ministri cosiddetti tecnici, sono indipendenti anche il sottosegratario alla Presidenza del Consiglio e ovviamente il Presidente del Consiglio stesso, Mario Draghi.
Il Governo Draghi rientra quindi nella categoria dei governi tecnici, poiché la sua formazione non è stata promossa da una maggioranza parlamentare predefinita ma dal Presidente della Repubblica, il quale ha ritenuto di non sciogliere il Parlamento per indire elezioni anticipate che avrebbero potuto aggravare la situazione di emergenza sanitaria ed economica che il paese stava attraversando a causa della pandemia.
Sebbene la componente politica dell'esecutivo guidato da Mario Draghi non sia marginale, la natura "tecnica" del Governo Draghi è ulteriormente rafforzata dalla distribuzione dei ruoli all'interno della compagine governativa. I ministeri più importanti e strategici per la ripresa economica e l'attuazione delle riforme richieste dal piano "Next Generation EU" sono stati assegnati ai ministri indipendenti.
Questa la lista dei Ministri indipendenti:
- Daniele Franco al Ministero dell'Economia e delle finanze;
- Vittorio Colao al Ministero dell'Innovazione tecnologica e transizione digitale;
- Enrico Giovannini al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti;
- Patrizio Bianchi al Ministero dell'Istruzione;
- Maria Cristina Messa al Ministero dell'Università e della ricerca;
- Marta Cartabia al Ministero della Giustizia;
- Luciana Lamorgese al Ministero dell'Interno;
- Roberto Cingolani al Ministero dell'Ambiente e tutela del territorio e del mare.
Per quanto riguarda i Ministri di estrazione politica:
- Federico D'Incà (Rapporti con il Parlamento), FabianaDadone (Politiche giovanili), Luigi Di Maio (Affari esteri e cooperazione internazionale) e Stefano Patuanelli (Politiche agricole alimentari e forestali) provengono dal Movimento 5 Stelle, il quale nonostante le defezioni resta il principale partito della maggioranza parlamentare con 164 deputati e 77 senatori che hanno votato la fiducia al governo Draghi;
- Erika Stefani (Disabilità), Massimo Garavaglia (Coordinamento di iniziative nel settore del turismo) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) provengono dalla Lega, la quale con 130 deputati e 63 senatori che hanno votato la fiducia al governo Draghi rientra prepotentemente nella maggioranza parlamentare e nella compagine governativa, avendo assunto la guida di due ministeri di peso per la ripresa economica;
- Lorenzo Guerini (Difesa), Andrea Orlando (Lavoro e politiche sociali) e Dario Franceschini (Beni e attività culturali) provengono dal Partito Democratico che con 93 deputati e 35 senatori resta pienamente coinvolto nell'azione di governo;
- Renato Brunetta (Pubblica amministrazione), Mariastella Gelmini (Affari regionali e autonomie) e Mara Carfagna (Sud e coesione territoriale) provengono da Forza Italia che partecipa alla maggioranza parlamentare con 88 deputati e 52 senatori e acquisisce un ruolo rilevante per l'azione di governo sull'organizzazione della Pubblica Aministrazione e delle autonomie territoriali;
- Elena Bonetti (Pari opportunità e famiglia) proviene da Italia Viva che sostiene il governo Draghi con 28 deputati e 18 senatori;
- Roberto Speranza (Salute) proviene da Liberi e Uguali che sostiene il governo Draghi con 11 deputati.
Le altre forze poliche che sostengono il governo Draghi e fanno parte della maggioranza parlamentare sono 47 deputati e 18 senatori del gruppo "Misto", 10 senatori del gruppo "Eu-MAIE-CD" e 8 senatori del gruppo "Per le Autonomie".
Si è invece collocato all'opposizione il partito Fratelli d'Italia con 34 deputati e 19 senatori che hanno votato contro la fiducia al governo Draghi, assieme ai 20 deputati e 15 senatori provenienti dal Movimento 5 Stelle (subitaneamente espulsi dal partito), agli 8 deputati e 6 senatori provenienti dal gruppo "Misto" e a 1 deputato della lista Liberi e Uguali.
Nel complesso il governo Draghi ha ottenuto 561 voti di fiducia e 67 contrari su un totale di 629 votanti alla Camera dei Deputati e 281 voti di fiducia e 40 contrari su un totale di 321 votanti al Senato della Repubblica.
I Ministri confermati del precedente governo sono:
- Luigi Di Maio (Affari esteri e cooperazione internazionale);
- Federico D'Incà (Rapporti con il Parlamento);
- Luciana Lamorgese (Interno);
- Lorenzo Guerini (Difesa);
- Dario Franceschini (Beni e attività culturali);
- Roberto Speranza (Salute).
Si evidenzia quindi una sostanziale continuità con il governo Conte II per quanto riguarda la gestione di diverse politiche, in particolare sulla sanità (che per inciso è articolata su base regionale), l'immigrazione e l'ordine pubblico, i rapporti internazionali e la gestione del patrimonio artistico e culturale.
Nel complesso, la composizione del Governo Draghi rispecchia gli equilibri della nuova ampia maggioranza parlamentare composta da tutti i principali partiti politici eccetto Fratelli d'Italia.
L'opinione prevalente è che il Governo Draghi condurrà presto il paese fuori dall'emergenza sanitaria e dalla crisi economica.
Ma mentre la soluzione dell'emergenza sanitaria dipende, salvo complicazioni, dalla rapida attuazione di un piano vaccinale, per quanto riguarda la crisi economica la situazione è molto più complessa di quanto possa apparire a uno sguardo superficiale.
La crisi economica italiana è, infatti, determinata sia da fattori contingenti (la pandemia) che da fattori strutturali (cronica mancanza di crescita dell'economia). La rimozione dei fattori contingenti che hanno determinato la crisi economica e gli aiuti di stato a famiglie e imprese sono certamente necessari, ma senza la contemporanea attuazione di un piano di riforme strutturali in grado di restituire dinamismo al sistema economico il declino dell'Italia è solamente rimandato.
E' quindi necessaria un'accelerazione delle riforme ormai improcrastinabili al fine di recuperare crescita economica e sviluppo. Riforme che comunque sono una condizione imposta dal piano Next generation EU per l'accesso ai finanziamenti, i quali sono splamati su un'arco temporale di circa cinque anni. La stagione delle riforme, la loro attuazione e l'attuazione dei progetti connessi al Next Generation EU oltrepassa quindi di gran lunga la durata di questa legislatura e ovviamente di questo governo. Ed è altrettanto evidente che le riforme strutturali devono essere approvate dal Parlamento.
Come sempre accade per i governi tecnici, la "moral suasion" (ovvero la capacità di influire sulle decisioni altrui facendo valere il proprio prestigio e ascendente) del Presidente del Consiglio sul Parlamento e sui partiti politici ha generalmente un'efficacia che decresce con il passare del tempo e si annulla dopo un certo periodo, ma in questo caso le risorse finanziarie a disposizione del governo non dovrebbero comportare, quantomeno a breve termine, provvedimenti impopolari gravanti sul consenso elettorale dei partiti, garantendo quindi un più lento risveglio di conflittualità politiche pretestuose all'interno della maggioranza parlamentare.
Di contro, i finanziamenti pubblici di cui l'Italia potrà disporre nei prossimi anni devono necessariamente essere spesi, fatti salvi gli aiuti connessi alla situazione di emergenza, con logiche di potenziamento delle capacità di crescita del sistema economico italiano (che altrimenti non sarà in grado di ripianare il debito crescente) e non con logiche di consenso politico. Occorrerà quindi tagliare diversi rami secchi della spesa pubblica e attuare riforme che andranno a intaccare privilegi, corporativismi e rendite di posizione generando così un probabile malcontento e proteste che potrebbero essere cavalcate da alcuni partiti politici per incrementare o recuperare consenso elettorale.
Insomma, nessuno dubita delle capacità del governo Draghi di raggiungere gli obiettivi prefissati, ma le criticità del sistema istituzionale italiano potrebbero esplodere quando finirà la XVIII legislatura (marzo 2023), quando dopo il rinnovo del Parlamento il Presidente della Repubblica dovrà nominare un nuovo Presidente del Consiglio e un nuovo Governo.