Le coalizioni elettorali, la mucca nel corridoio e le elezioni politiche 2018

Periodo di riferimento: 2017 - 2018
Con la promulgazione della nuova legge elettorale Rosatellum bis per le elezioni politiche del 2018, fu abbandonato il sistema elettorale prevalentemente maggioritario in favore di un sistema, sempre misto, ma prevalentemente proporzionale. La logica alla base di questo sistema elettorale appare incoerente - a che pro implementare una quota di maggioritario se poi è “minoritaria” - ma evidentemente si è trattato di una scelta di compromesso. In ogni caso, la presenza della quota maggioritaria aprì una discussione sulle opportunità di formare delle coalizioni elettorali, tra l’altro in un sistema dei partiti tripolare dove le istanze politiche dei cittadini non sembravano più corrispondere alla classica contrapposizione tra destre e sinistre tradizionali. Infatti, la crescita nei sondaggi del Movimento 5 Stelle aveva evidenziato la forte presenza nella società italiana, esasperata dagli effetti non ancora sopiti della crisi economica, di un’insofferenza nei confronti dell’establishment che non era riuscito a prevenire o a lenire adeguatamente gli effetti nefasti della recessione. Questa situazione sociale si stava traducendo in un conflitto tra forze politiche riformiste o moderate e forze politiche radicali o estreme, dove l’estremismo non si riferisce al metodo di lotta politica ma a un diffuso sentimento di antipolitica. I partiti di sinistra, di fronte a questa evoluzione del quadro politico e sociale, hanno mostrato una certa incapacità di elaborare nuove idee e piattaforme politiche innovative e sono sembrati piuttosto impotenti.

Mucca

Sull'onda dei commenti ai risultati delle elezioni regionali in Sicilia del 5 novembre 2017 i mass media concentrarono l'attenzione sulla formazione di coalizioni tra partiti per le elezioni politiche del 2018.

La formazione di coalizioni per le elezioni regionali in Sicilia era finalizzata al sostegno dei candidati presidenti. La competizione elettorale siciliana vide prevalere il candidato della coalizione di centrodestra. Il Movimento 5 Stelle, che per principio rifiutava la logica delle alleanze e delle coalizioni, corse da solo per cui nonostante fosse diventato il primo partito politico in Sicilia non riuscì a far vincere il suo candidato che arrivò secondo. Le forze politiche di sinistra e di centrosinistra, invece, si presentarono alle elezioni regionali divise: il candidato presidente sostenuto da una coalizione di centrosinistra, con capofila il Partito Democratico, arrivò terzo, mentre il candidato sostenuto da una coalizione di sinistra, con capofila Articolo Uno Mdp, arrivò quarto.

Poiché le elezioni politiche del 2018 si sarebbero svolte con la nuova legge elettorale, denominata Rosatellum bis, che prescriveva l'assegnazione di circa un terzo dei seggi del Parlamento attraverso collegi uninominali - nei quali i candidati sostenuti da più partiti sono favoriti - la formazione di coalizioni diventò una priorità anche per le elezioni politiche 2018.

Lo scenario politico scaturito dai risultati elettorali e dall'assetto delle coalizioni nelle elezioni politiche siciliane, per analogia, fu riportato dai mass media sul piano nazionale. Si avviò così una discussione sulle coalizioni politiche e in particolare sulla possibilità di formare una coalizione allargata di centrosinistra in grado di superare le divisioni nell'area politica di sinistra.

Infatti, nel contesto del sistema politico tripolare che caratterizzò le elezioni politiche del 2018, i sondaggi elettorali prefiguravano una coalizione di centrosinistra non competitiva, poiché attraversata da divisioni e conflitti apparentemente contraddittori, tra il principale partito di centrosinistra (Partito Democratico) e le forze politiche più a sinistra (Articolo Uno - Mdp e Sinistra Italiana).

Da più parti, quindi, si moltiplicarono gli appelli alla cosiddetta unità della sinistra, considerata l'unico possibile argine all'avanzata delle forze politiche di destra che sembravano destinate a prevalere. Guardando anche al panorama politico europeo e internazionale, la crescita di consenso delle destre fu sintetizzata da Pierluigi Bersani con la fortunata metafora della mucca nel corridoio, che alludeva al fatto che una mucca in un corridoio non può non essere vista o che non è possibile fingere di non averla vista.

In particolare, la metafora della mucca nel corridoio fu utilizzata da Bersani per criticare l'indirizzo politico espresso dal Partito Democratico durante la XVII legislatura e nello specifico l'atteggiamento e l'operato del segretario Matteo Renzi, il quale avrebbe guidato il Partito Democratico in una direzione opposta alle aspettative del popolo di sinistra dimenticando la tutela delle classi sociali più svantaggiate. Secondo Bersani questa era la ragione principale per cui i cittadini, delusi dalle politiche sociali ed economiche dei governi di centrosinistra, si sarebbero allontanati dal Partito Democratico e avvicinati a forze politiche populiste come il Movimento 5 Stelle.

Nello specifico, il Partito Democratico di Renzi è stato accusato di aver virato verso politiche di destra al fine di accaparrarsi il consenso dei moderati, determinando così un duplice fallimento: da un lato il mancato allargamento dei consensi verso il centro, dall'altro una perdita dei consensi a sinistra. La principale causa dell'avanzata delle destre in Italia sarebbe quindi stata un'errata strategia politica del PD di Renzi.

In realtà, nel contesto sociale, economico, politico europeo e internazionale, dove si era constatata una forte e generalizzata perdita di consensi da parte dei partiti politici di sinistra e dove, tra l'altro, l'unica eccezione era proprio quella dell'Italia dove il Partito Democratico di Renzi aveva ottenuto il 40% alle elezioni europee del 2014, questa lettura degli avvenimenti e dello scenario politico italiano appariva forzata, forse viziata da pregiudizi.

In primo luogo, la perdita di consensi delle forze politiche di sinistra sembrava dovuta al mutamento del paradigma economico e del quadro geopolitico internazionale, con la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico che avevano reso anacronistiche o quantomeno inefficaci la maggior parte delle ricette politiche della sinistra. Come ha detto Massimo Cacciari le sinistre avevano fallito, storicamente. In secondo luogo, la perdita di consenso delle sinistre in Italia, ovvero la crescita della distanza tra le forze politiche di sinistra e le classi sociali svantaggiate o, più in generale, la crescita di sfiducia dei cittadini verso i partiti politici di sinistra e la politica tutta si era verificata già prima del 2013 e, più precisamente, mentre nel paese imperversava il berlusconismo.

Infatti, il distacco emotivo del cosiddetto popolo di sinistra dai partiti politici di sinistra era avvenuto a causa dell'inerzia o dell'impotenza di quest'ultimi, manifestatasi durante un arco temporale piuttosto lungo, iniziato con la famosa citazione di Nanni Moretti in "Aprile" e i girotondi, proseguito con il V-Day di Beppe Grillo e culminato con le note e tristi vicende connesse alla ricostruzione e al terremoto che colpì L'Aquila, dove il distacco dei partiti politici di sinistra dalla propria base elettorale è stato ben documentato da Sabina Guzzanti, in "Draquila, l'Italia che trema".

Le elezioni politiche del 2013 che la sinistra di Bersani si aspettava di vincere agevolmente avevano, quindi, già certificato il distacco tra il Partito Democratico e la cosiddetta base e evidenziato la sostanziale inefficacia del ruolo svolto dalle sinistre anche in Italia nel decennio precedente. Quelle elezioni avevano, inoltre, già indicato la direzione imboccata dagli elettori delusi verso il radicalismo del Movimento 5 Stelle, infatti se il divorzio tra il popolo di sinistra e i partiti politici di sinistra non fosse già avvenuto prima delle elezioni politiche del 2013, probabilmente il Movimento 5 Stelle non sarebbe diventato il partito più votato alla Camera dei Deputati.

La critica di Bersani e delle forze politiche a sinistra del Partito Democratico nei confronti dell'indirizzo politico espresso dal segretario Matteo Renzi è apparsa quindi pretestuosa o quantomeno fuorviante. Per utilizzare una metafora simile a quella della mucca nel corridoio, chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati è inutile. Era quindi ormai inutile rincorrere il Movimento 5 Stelle, ma evidentemente una parte della sinistra non la pensava così se questa srategia politica fu tentata con esiti disastrosi dallo stesso Bersani subito dopo la sconfitta elettorale. E anche successivamente per le elezioni politiche 2018, il tema prioritario di Bersani e delle altre forze politiche di sinistra fu come recuperare i consensi persi a sinistra, tuttavia era difficile credere che i tradizionali partiti di sinistra potessero con un colpo di coda riuscire a ribaltare la situazione considerando anche le condizioni in cui versavano le sinistre in Europa e nel mondo, ormai sofferenti per la crisi di fiducia nel progressismo.

Infatti, neanche in Italia tra il 2013 e il 2018 le forze politiche della sinistra tradizionale erano riuscite a elaborare in positivo una strategia politica in grado di recuperare consensi a sinistra, tant'è vero che sia Bersani che l'opposizione interna del PD si erano impegnate esclusivamente a criticare la linea politica del nuovo Partito Democratico e a logorare l'esecutivo guidato da Renzi. Anche successivamente, dopo la scissione del PD, sia Articolo Uno - Mdp che Sinistra Italiana, invece di elaborare una strategia politica in positivo, avevano preferito adottare una linea politica basata sull'opposizione, una strategia basata più sulla critica che su proposte politiche di ampio respiro.

Nella situazione politica del 2018, caratterizzata da una crisi di fiducia nella classe dirigente e da un populismo dilagante, elaborare una proposta politica in grado di recuperare il consenso di quello che un tempo era considerato il popolo di sinistra avrebbe significato radicalizzare le piattaforme politiche della sinistra. In altre parole, nel contesto sociale in cui si svolsero le elezioni del 2018 i partiti di sinistra per avere qualche chance di recuperare consenso avrebbero dovuto impegnarsi per essere percepiti come forze politiche radicali e antisistema così come lo erano i movimenti e le forze politiche populiste.

Infatti, le elezioni politiche del 2013 avevano evidenziato come il consenso elettorale generato dall'insoddisfazione dei cittadini delusi non fosse indirizzato a destra o a sinistra sulla base dei principi e delle ideologie che avevano dominato la politica a partire dal secondo dopoguerra. La maggior parte dei cittadini, soprattutto i giovani, non riuscivano più a vedere il nesso tra queste ideologie e la realtà contemporanea. Inoltre, molti quelle ideologie nemmeno le conoscevano. I cittadini erano diventati pragmatici, infatti la velocità dei cambiamenti e la globalizzazione avevano generato aspettative per risultati tangibili e immediati. Forse questa era una delle ragioni per cui il radicalismo delle destre sembrò avvantaggiato rispetto a quello delle sinistre, poiché la capacità di portare risultati tangibili, così come quella di soddisfare la crescente esigenza di sicurezza e di tutela dei cittadini, fu in quel periodo associata ai classici concetti promossi dalle destre quali l'ordine e la disciplina, peraltro affini al più elaborato concetto di legalità promosso dal M5S.

In ogni caso, per le forze politiche di sinistra un ritorno al radicalismo avrebbe significato dichiarare apertamente la totale incompatibilità con l'indirizzo riformista e moderato del Partito Democratico e del centrosinistra, infatti la polarizzazione dello scontro politico generata dall'evoluzione socio-economica dell'occidente era ormai animata dal conflitto tra forze politiche riformiste o moderate e forze politiche radicali o estreme (dove il termine "estreme" non indica un metodo di lotta politica ma un diffuso sentimento di antipolitica). Gli elettori sembravano infatti convergere verso due poli principali: coloro che volevano un cambiamento graduale e controllato della società e delle istituzioni e coloro che invece volevano o speravano in un cambiamento più radicale e dirompente, sia perché le politiche pubbliche erano considerate insufficienti o inadeguate, sia perché la crisi di fiducia nelle istituzioni e nella politica aveva indotto a desiderare la sovversione di un ordine che sembrava costituito apposta per favorire le classi agiate.

Insomma, la sinistra si presentò alle elezioni del 2018 divisa nonostante le forze politiche più a sinistra non avessero di fatto radicalizzato le proprie piattaforme politiche.

In quel contesto neanche la coalizione di centrodestra poteva ritenersi solida e funzionale alle esigenze di governo del paese. Anche qualora la poliedricità e longevità (politica) del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, fosse riuscita a riunire in una coalizione di centrodestra - come poi effettivamente accadde - le forze politiche di destra moderate con quelle più estreme (Lega e Fratelli d'Italia) che negli ultimi anni si erano impegnate a radicalizzare, tra l'altro con un certo successo, le proprie posizioni, sarebbe stato inevitabile per i moderati pagare pegno con un cambiamento negli equilibri interni della coalizione.

Paradossalmente, la destra si presentò alle elezioni del 2018 unita nonostante la Lega e Fratelli d’Italia avessero invece radicalizzato le proprie piattaforme politiche.

Gli accordi tra partiti per la formazione delle coalizioni avrebbero poi dovuto superare gli ostacoli di ordine tecnico imposti dalla nuova legge elettorale, come la definizione dei candidati per i collegi uninominali. Un ostacolo non da poco. La nuova legge elettorale aveva, infatti, adottato il sistema maggioritario per un terzo dei seggi del Parlamento, mentre gli altri due terzi erano assegnati con il sistema elettorale proporzionale. Inoltre, a differenza delle precedenti elezioni politiche della cosiddetta seconda repubblica, la nuova legge elettorale non prevedeva l'indicazione di un candidato premier facendo così venir meno il vero collante delle coalizioni. Senza un candidato premier in grado di contrastare le spinte centrifughe dentro le coalizioni, gli accordi tra partiti sarebbero stati funzionali solamente alla vittoria dei candidati prescelti nei collegi uninominali.

Si sarebbero quindi dovute configurare coalizioni esclusivamente elettorali. In pratica, sarebbe stato opportuno per i partiti politici non impegnarsi in coalizioni di governo considerato che due terzi del Parlamento erano eletti con il proporzionale. Mentre per alcuni partiti minori questa opzione avrebbe significato firmare una cambiale in bianco, in un’ottica di sistema una coalizione di governo avrebbe potuto trasformarsi in un gioco d’azzardo dove la posta in gioco era la stabilità delle istituzioni democratiche, considerando che nessuna coalizione sembrava essere in grado di ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento. In base allo scenario più probabile, una volta concluse le elezioni e assegnati i seggi, i partiti eletti in Parlamento avrebbero dovuto essere liberi di agire secondo le proprie priorità con buona pace delle coalizioni.

Il centrodestra, invece, si presentò alle elezioni del 2018 proprio come coalizione di governo nel tentativo di massimizzare il risultato elettorale e vincere le elezioni, ma non riuscì nell’impresa determinando così una nuova situazione di stallo del Parlamento, poiché l’unità del centrodestra sarebbe diventata un ostacolo apparentemente insormontabile per la formazione del governo.