Governabilità e rappresentatività nella forma di governo parlamentare
Nel linguaggio politico, per governabilità si intende una situazione di equilibrio sociale, economico e istituzionale per cui la continuità dell’azione di governo non è ostacolata da situazioni anomale o eccezionali. Non esiste, tuttavia, una definizione concorde comunemente accettata di governabilità. In riferimento a determinati periodi storici caratterizzati da “crisi di governabilità” si preferisce parlare di “ingovernabilità” analizzandone le cause.
Nello specifico della realtà italiana ci si riferisce sovente alla governabilità, ovvero ai rischi di ingovernabilità, in un’accezione connessa alla forma di governo parlamentare, per indicare sia la difficoltà di formazione del Governo subito dopo le elezioni politiche, sia la generale instabilità dei governi che rischiano continuamente di cadere e non riescono a restare in carica per tutta la durata della legislatura, anzi spesso ne determinano la fine anticipata.
Anche la rappresentatività di un organo collegiale è un concetto che necessita alcune precisazioni. In generale, la rappresentatività è l’attitudine a rappresentare tutte le istanze, ad esempio, di una determinata fascia di età della popolazione, di una categoria professionale o di un’intera comunità. Un organo collegiale, dovrebbe quindi essere composto almeno da un rappresentante per ogni singolo gruppo di influenza, per garantire le cosiddette minoranze, mentre i gruppi numericamente più consistenti dovrebbero avere più di un rappresentante. Tuttavia, essendo il numero di seggi presenti in un collegio necessariamente limitato, occorre trovare un compromesso tra la volontà di dare rappresentanza a tutte le minoranze (che, ad esempio, potrebbero esistere in numero maggiore rispetto ai seggi disponibili) e la volontà di pesare il grado di influenza dei gruppi più consistenti assegnando loro un numero maggiore e proporzionale di seggi.
La rappresentatività di un organo collegiale eletto, come ad esempio il Parlamento, sarebbe quindi massimizzata dall’assegnazione dei seggi in proporzione al numero di voti ricevuti dai candidati delle varie forze politiche alle elezioni, fermo restando la suddivisione del territorio in collegi elettorali e il numero di seggi disponibili, che fissano comunque dei vincoli, dei limiti alla rappresentanza.
In altri termini, il sistema di assegnazione dei seggi nell’organo collegiale non dovrebbe alterare in modo eccessivo la distribuzione dei seggi rispetto al quadro dei rapporti di forza tra partiti che emerge dalla misurazione del numero assoluto e relativo dei voti ottenuti dalle forze politiche.
Ma perché l’esigenza di tutelare la rappresentatività del Parlamento è stata messa in contrapposizione con l’esigenza di migliorare la governabilità del paese?
Perché nella forma di governo parlamentare il Governo è formato e sostenuto dalla maggioranza parlamentare ovvero la formazione e la stabilità del Governo dipendono dalla formazione e dalla stabilità della maggioranza parlamentare che a sua volta dipende, oltre che dai risultati elettorali, dalle modalità di assegnazione dei seggi del Parlamento.
Il sistema di assegnazione dei seggi di un organo collegiale eletto (Parlamento, consiglio regionale, etc.) è stabilito dalle leggi elettorali che disciplinano le modalità di svolgimento delle elezioni. Le leggi elettorali possono introdurre vari meccanismi di assegnazione dei seggi (sistemi proporzionali, maggioritari o misti) e anche altri meccanismi, come le soglie di sbarramento, in grado di alterare la distribuzione proporzionale dei seggi in rapporto al numero di voti ricevuti dai candidati alle elezioni. La legge elettorale delle elezioni politiche determina il sistema elettorale utilizzato per assegnare i seggi in Parlamento.
Riassumendo, gli equilibri interni al Parlamento tra le varie forze politiche possono essere alterati dal sistema elettorale in modo da privilegiare la rappresentatitività dell’organo collegiale o al contrario favorire l’aggregazione dei partiti e, di conseguenza, la formazione e la stabilità di una maggioranza parlamentare, ad esempio accentuando il divario tra i partiti politici vincenti e quelli perdenti nell’assegnazione dei seggi (premio di maggioranza).
Nel corso della storia politica italiana, il sistema elettorale proporzionale adottato per oltre 40 anni dalla nascita della repubblica ha favorito la proliferazione dei partiti e conseguentemente la frammentazione delle rappresentanze elette in Parlamento.
Negli anni ‘90, l’eccessiva frammentazione delle forze politiche presenti in Parlamento è stata additata come una delle cause principali dell’instabilità delle maggioranze parlamentari e dei governi, poiché effettivamente una frammentazione eccessiva dei gruppi parlamentari, ovvero delle forze politiche elette in Parlamento, favorisce il potere di veto delle minoranze e accresce gli ostacoli alla formazione di maggioranze politiche coese.
Per evitare questa frammentazione eccessiva o comunque per favorire l’aggregazione delle forze politiche in coalizioni, nel 1993 è stato abbandonato il sistema elettorale proporzionale in favore di un sistema elettorale misto ovvero in parte maggioritario e in parte proporzionale, ritenendo che la modifica in senso maggioritario della legge elettorale per le elezioni politiche potesse da sola garantire una maggiore stabilità dei governi.
Conseguentemente, si è diffusa la narrazione che per favorire la governabilità, ovvero la stabilità dei governi, sia stata sacrificata la rappresentatività del Parlamento.
Inoltre, poiché durante la cosiddetta seconda repubblica ovvero nel periodo caratterizzato dall’introduzione del sistema elettorale tendenzialmente maggioritario la stabilità dei governi non è migliorata, questa narrazione politico-mediatica ha tentato di mettere in cattiva luce la modifica in senso maggioritario delle leggi elettorali, accusate di avere solamente compresso la rappresentatività del parlamento, e ha favorito le forze politiche che vorrebbero ripristinare un sistema elettorale puramente proporzionale in nome della rappresentatività.
Il problema con questa narrazione che vede il maggioritario come un attentato alla rappresentatività del Parlamento è duplice. Da un lato, i tentativi di riforma della legge elettorale sono stati maldestri e caratterizzati da soluzioni di compromesso che le hanno rese inefficaci o addirittura controproducenti, a tal punto che una di queste leggi è stata soprannominata “Porcellum”. Dall’altro, questa narrazione sottovaluta il ruolo di sintesi dei partiti politici e dei corpi intermedi in generale, che se organizzati democraticamente costituiscono un anello fondamentale e insostituibile della rappresentanza democratica, mentre il Parlamento dovrebbe essere un luogo di sintesi con due ampie aggregazioni politiche ovvero una maggioranza e un’opposizione.
Il rischio di creare una organo collegiale scollegato dalla società e dal popolo che dovrebbe rappresentare è, infatti, collegato soprattutto all’organizzazione democratica interna dei partiti e alla selezione e presentazione delle liste di candidati alle elezioni.
Da un’altra prospettiva è ormai evidente che la riforma della legge elettorale, da sola, non può garantire la stabilità dei governi, in particolare se permangono regolamenti parlamentari che favoriscono la proliferazione di gruppi parlamentari scollegati dai partiti politici e se non si introducono vincoli in grado di migliorare le dinamiche politiche all’interno della maggioranza parlamentare, una volta che questa sia stata costituita.